L’articolo di celli mette in luce la sterilità dei dibattiti sui tecnicismi della valutazione di fronte al problema di fondo per l’università di oggi: “se non ripensiamo l’istituzione in funzione delle sue vere finalità e delle nuove sfide, avendo il coraggio di dire quello che è riforma fasulla e bisogni veri, continueremo ad alimentare una cultura perdente”. Per questo non basta la trasmissione di conoscenze ma serve “un supplemento crescente di eperienze multiple”…
E’ uscito il libro paying the professoriate che confronta le condizioni contrattuali e retributive che regolano il rapporto di lavoro dei professori universitari in 30 paesi. E’ la prima volta che si realizza un confronto così ampio su scala mondiale. Giliberto Capano ed io abbiamo curato il capitolo 16 che riguarda L’italia: “16. Italy: From Bureaucratic Legacy to Reform of the Profession Giliberto Capano and Gianfranco Rebora”. La stampa internazionale ha dedicato una certa attenzione a questa ricerca soffermandosi però soprattutto sulla comparazione dei livelli salariali. In realtà la ricerca offre spunti molto maggiori di approfondimento su temi critici per il governo delle università nei diversi paesi.
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The Wall Street Journal solleva una problematica rilevante per il mondo dell’università e della scuola: putting+a+price+on+professors
Polemiche pesanti continuano a investire le decisioni delle università che toccano le carriere dei docenti. All’origine c’è forse la difficoltà di condividere una stessa visione di cosa è merito. L’articolo di Perotti è tranchant e individua nomi e cognomi dei “colpevoli” riferiti tra l’altro a concorsi per trasferimenti, dove i criteri di riferimento sono ancora più opinabili che per l’ingresso nei ruoli arsenico-e-vecchi-concorsi Inevitabile quindi che la polemica si trascini con risposte-e-replica Una degli interessati ha anche un ruolo importante in ambito formativo e il suo merito non manca di riconoscimenti: premio di tipo però che l’accusatore non sembra ritenere valido…
La cattiva educazione è spesso presente nella vita universitaria… se ne lamentano alcuni studenti su campus Non si tratta tuttavia di un problema nuovo: cattedratici e goliardi dei tempi antichi ne sono stati spesso protagonisti. Disponiamo oggi anche di seri studi internazionali sulla academic malpractice
Il romanzo di Chetan Bhagat tratta i mali dell’accademia in una chiave meno seriosa di tanti interventi che sentiamo ma per molti aspetti illuminante.
Times higher education riferisce di un report sul rischio per le università inglesi di perdere quel personal touch che costituisce una caratteristica centrale per la loro identità, reputazione e fondmentale scopo come istituzioni di insegnamento. Così il rapporto riconosce che “Proximity of staff to students, teaching methods centred on the idea of learning as a partnership, and students receiving personal attention from staff are all qualities “intimately associated” with the reputation of the sector and the standard of teaching it provides..” C’è il rischio – dichiara un esperto – di non potersi più aspettare che il docente possa conoscere e chiamare per nome i propri studenti.
Secondo l’autore di questo articolo atenei in tilt= all’università serve una cura da cavallo. Può darsi. E’ solo uno, neanche il peggiore, dei tanti articoli di questi giorni, ripetitivi sui tanti episodi che fanno folclore, inframmezzati da palesi inesattezze. Una per tutte: dice che prima della recente riforma, nel 1997, gli atenei erano 41 contro i 95 attuali; si può facilmente verificare che già nel 1989 le università in Italia erano 55 e 70 nel 1999. La cosa buffa è che i professori che sparano sulle università in nome del rigore lo fanno in modi che loro stessi non giudicherebbero dignitosi all’interno di articoli scientifici:
Idee e commenti dalla ricerca di management