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La funzione culturale dell’Università

La relazione del rettore Ornaghi all’inaugurazione della Cattolica merita ancora attenzione, dopo qualche mese, per le domande poste riguardo alla funzione culturale dell’università, al di là delle contingenze attuali. Si riportano alcuni passaggi:

“La funzione culturale dell’Università comincia a indebolirsi, e l’essenza stessa dell’Università si smarrisce o snatura, quando la prospettiva dello Studium generale diventa poco più che una parola del passato, talvolta anche per chi negli Atenei e per gli Atenei vive e lavora. Non sono gli eventi collocati alla superficie dei cambiamenti in corso ad allontanarci sempre più dall’essenza dell’Università; né il comprensibile svolgimento e l’accentuata divaricazione delle specializzazioni disciplinari; né, infine, il diverso grado con cui le ricerche in alcuni campi sono oggi socialmente più utili di altre, o tali vengono considerate dalle convinzioni e convenzioni più diffuse: le ricerche su come renderci più belli o esteticamente meno sgradevoli sono certamente più interessanti, e attraenti da finanziare, rispetto a qualsiasi seria indagine che abbia per oggetto il più o meno recente passato. Siamo noi, nelle nostre Università, a non praticare più lo Studium generale, a non credere nella sua capacità di saper produrre ciò che per il presente e il domani è davvero nuovo e utile.

L’infiacchirsi dell’idea di Studium generale consegue – o, più probabilmente, vi si lega in stretta interdipendenza – al declinare dell’idea di humanitas, quale architrave di ogni forma di sapere, di una ‘visione umanistica’ quale componente indispensabile affinché ogni passo in avanti della conoscenza scientifica sia autenticamente un suo progresso.

siamo davvero sicuri che l’Università debba soltanto offrire una formazione a domande e aspettative ‘date’ (spesso date genericamente, troppo condizionate dai bisogni del presente e assai incerte su quelli del futuro), o non invece essa stessa debba contribuire a formare un’offerta che crei la domanda più appropriata, a cui poi fornire la risposta più competente e utile? È solo rafforzando la sua funzione culturale che, a me sembra, l’Università può contribuire con successo a una tale offerta. Ma è soprattutto non smarrendo la sua natura di Studium generale che l’Università può preparare non semplicemente professionisti più o meno in grado di rincorrere le esigenze delle diverse forme dei ‘mercati’, con le loro spesso impreviste fluttuazioni, bensì professionisti capaci – almeno in una loro quota significativa – di essere componenti attivi delle future classi dirigenti. Quando la formazione universitaria si sganciasse ancora di più da quell’humanitas, da quel fondamento umanistico a cui tuttora tende uno Studium generale, non conosciamo ancora bene che cosa il Paese e noi guadagneremmo. Sappiamo però, con certezza, che cosa per sempre perderemmo.

Riflettere sull’essenza dell’Università, sulle sue funzioni ancora indispensabili, sul nesso fra didattica e ricerca, significa volere e saper pensare – anche nei frangenti di questi mesi – al domani incombente di questa nostra Istituzione. Ed è proprio il domani dell’Università, quello immediato e quello meno vicino, che soprattutto ci deve stare a cuore.

Proprio perché è il domani dell’Università che soprattutto ci deve stare a cuore, l’‘essenza’ dell’Università – la sua ‘idea’ – andrà salvaguardata e, auspicabilmente, promossa e rafforzata. Per farlo, occorre da subito bloccare e rovesciare quel processo per cui – da ormai troppo tempo – il pluralismo degli Atenei è costretto a cedere il passo a un’omologazione forzata, a una crescente ingessatura amministrativo-burocratica, a una massiccia irreggimentazione dentro requisiti e criteri (anche di valutazione, certamente) che, più che mirare a una reale qualità, talvolta rispecchiano soltanto o l’apparente neutralità dei numeri o, peggio ancora, standard di giudizio di cui – se l’occhio è allenato a osservare con prospettiva storica lo svolgimento della conoscenza scientifica e delle scienze – facilmente prevedibile è la volatilità”.

Il Vescovo scuote la città

E’ interessante quanto avvenuto a Terni dove il Vescovo, monsignor Paglia, ha convocato una sorta di stati generali della città ed ha messo tutti di fronte alle proprie responsabilità davanti al rischio di declino e stagnazione in un clima di collusione e consociativismo  tra i diversi poteri. La relazione del sociologo Luca Diotallevi ha completato il quadro con una puntuale e incisiva diagnosi dei problemi della città. Tutto ciò ha aperto una discussione molto partecipata e animata quale raramente si è vista in una città italiana.

facciamofintache…

relazione-Paglia

relazione-diotallevi

Il+sano+agonismo+che+ci+rende+liberi+

Tra l’altro monsignor Paglia ha detto : “La buona Città terrena è pluriforme non uniforme, poliarchica non monarchica, democratica non autoritaria: è, diremmo oggi, una Città aperta, mai chiusa e, come amava dire don Luigi Sturzo, pervasa da “sano agonismo”. In questa Città nessun ceto e nessuna singola istituzione è addetta o arbitra del bene comune, che deve essere, invece, misura dell’operato di ciascun individuo e di ciascun gruppo”…