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L’imbarazzante deriva dell’economia

L’idea prospettata dal governo di legare all’andamento del PIL gli  incentivi per i dirigenti statali ha fatto discutere; certo può sconcertare alla luce dell’innovazione emergente, se anche droga e prostituzione saranno inclusi nel calcolo del PIL…

Non è un problema moralistico, ma di chiarezza di idee e di capacità di pensiero autonomo e critico

Genovesi e l’Economia Civile

Si è avviato in LIUC il ciclo di incontri sulla  economia civile con una riflessione sulla tradizione degli economisti italiani, e in particolare dell’Abate Genovesi, titolare a Napoli nel ‘700 della prima cattedra di Economia Politica. Sono concetti che tornano oggi attuali di fronte alla crisi evidente di quel ‘pensiero unico’ dell’economia che è prevalso nel mainstream mondiale ed ha messo in ombra quel tessuto relazionale che costituisce il fondamento del benessere sociale. La ‘felicità pubblica’ di cui parlavano Genovesi, Muratori, Verri e Beccaria non significa un’intromissione dello stato nella sfera personale, ma costituisce l’orientamento alla cura di quei beni essenziali anche per un sano sviluppo economico che gli stessi economisti contenporanei hanno dovuto sia pur tardivamente riconoscere attraverso nozioni che mantengono un fondo di ambiguità come è il caso del “capitale sociale”.

Rottamare gli economisti: lezioni da un centenario

Ancora una volta coase ci stupisce: il premio nobel, che tra poco compirà 102 anni, fonda una nuova rivista man and the economy e critica gli economisti di oggi con frasi fulminanti: “Economics as currently presented in textbooks and taught in the classroom does not have much to do with business management, and still less with entrepreneurship. The degree to which economics is isolated from the ordinary business of life is extraordinary and unfortunate”.

Le parole contano

La storia e il linguaggio contano: come mostra l’approccio all’economia di deirdre mccloskey :  che nei suoi interventi come quello a EGOS 2011:  editorials  non risparmia critiche impietose alla mainstream degli economisti:

The progress of economic science has been seriously damaged. You can’t believe anything that comes out of [it]. Not a word. It is all nonsense, which future generations of economists are going to have to do all over again. Most of what appears in the best journals of economics is unscientific rubbish. I find this unspeakably sad. All my friends, my dear, dear friends in economics, have been wasting their time….They are vigorous, difficult, demanding activities, like hard chess problems. But they are worthless as science.

The physicist Richard Feynman called such activities Cargo Cult Science….By “cargo cult” he meant that they looked like science, had all that hard math and statistics, plenty of long words; but actual science, actual inquiry into the world, was not going on. I am afraid that my science of economics has come to the same point.

— (Deirdre McCloskey, The Secret Sins of Economics (2002), 41, 55f)[4]

Cosa producono le università?

L’università, i suoi problemi e il suo funzionamento, è un tema che imbarazza gli economisti perché mette in crisi le loro ricette. Così qualcuno in un noto blog come organizationsandmarkets  arriva a chiedersi come mai le grandi università di ricerca americane attirino così tanto gli studenti nonostante performance didattiche che – si ammette – sono così povere? : they cost so much and produce such low quality teaching?   Interessante è comunque la risposta: Maybe its a kind of screening effect — the job market rewards students who graduate from prestigious schools so good students tend to go there and the teaching is irrelevant — a network effect.

Povero economista liberale!

L’articolo di Perotti  solitudine-liberista ci fa capire perché l’economia sia chiamata “scienza triste”. Provo tenerezza per Perotti. Nessuno meglio di lui rende questa idea dell’economia. Massimamente in questo articolo, il cui contenuto si può in gran parte condividere sul versante di un pessimismo dell’intelligenza. Ma nella vita non si può essere solo intelligenti. Personalmente penso di avere idee liberali, ma non ridurrei mai me stesso come persona a essere “un liberale”.

Nobel opaco

Come spesso accade, i premi Nobel per l’economia sembrano riconoscere scoperte meno brillanti e di minore impatto di quanto vale per altri settori; è il caso forse anche di quest’anno, che vede al centro dell’attenzione il tema del mercato del lavoro più che i tre premiati, certo  studiosi onesti e meritevoli ma i cui contributi non sembrano in grado di suscitare entusiasmi: nobel_prizes/economics/laureates/2010  Come qualcuno ha detto, il Nobel dell’economia spesso premia chi insegna agli altri economisti cose che la gente comune già conosce