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Liberare il pensiero

Liberare il pensiero all’interno delle organizzazioni per un salto di creatività e produttività questo è il succo della  intervista di Marco Vitale: per farlo occorre evitare di seguire le ricette di alcune categorie di suggeritori: agevolisti,  congiunturalisti, minimalisti, nihilisti e anche statalisti…. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 

 

Idee dalle riviste di economia aziendale

E’ utile segnalare due riviste italiane on line di Economia aziendale sulle quali si possono trovare contributi utili alla  riflessione post crisi sull’economia e sull’impresa, sono voci purtroppo ancora flebili in un quadro nazionale dove gli economisti, per quanto rimbrottati da Tremonti, riescono a processarsi, condannarsi  e assolversi da soli:  impresaprogetto tratta il tema “Un’altra economia è possibile”, mentre ea2000 presenta un approfondito articolo di Rusconi che propone una visione della business economics collegata alla teoria del sistema di stakeholders e che considera anche la dimensione etica, riprendendo in chiave aggiornata la tradizione dei nostri studi aziendali:  3_09_rusconi1

Conclusione del dibattito

La conclusione di  guido tabellini  del dibattito da lui stesso aperto su Il Sole 24 ore appare abbastanza deludente rispetto alla ricchezza di molti interventi; l’idea di fondo è che gli economisti sapevano già tutto, sono gli altri ad avere frainteso…  Così basta un diligente compitino tecnico per rimettere a posto le cose. Alla fine, si può condividere l’idea che per l’Italia si tratta di affontare i problemi di sempre, dell’inefficienza di settori e servizi non esposti al mercato, ecc. …  ma … un po’ più di passione non guasterebbe!

Commento a Drucker

Chi ha scritto questo commento a un libro di Peter Drucker?

a) Winston Churchill    b)  Karol Wojtyla     c ) Barack Obama

In his approach to totalitarianism Mr. Drucker brushes aside the familiar contention that it is the last refuge of Capitalism in desperation. It is not only Capitalism that is desperate. Marxian Socialism is in equally bad case. Our concern here is with Capitalism as a philosophy; Capitalism as a means of producing goods in constantly increasing volume at a constantly diminishing cost is by no means a failure. Where Capitalism has failed is in its exhibition of the Economic Man as a social ideal. In the heyday of industrialism it was argued that the competitive system gave a free and equal chance to everybody. Freedom and equality are the central ideas of European civilization, but people are now ceasing to believe that competition is a means to their attainment. Hence our present social bankruptcy. Continua la lettura di Commento a Drucker

Marco Vitale sulla crisi

L’intervento di Marco Vitale Sbagliare-non-era-obbligatorio nel dibattito su il Sole 24 ore rimette molte cose a posto rispetto a chi parla di meri errori tecnici e di imprevedibilità della crisi. Ecco la chiusura potente di questo articolo:

“Sono i menestrelli del tutto come prima e i talebani del mercato i veri nemici del capitalismo, se vogliamo continuare ad usare questa parola che grandi storici dell’economia come Braudel e Cipolla (ma prima di loro Einaudi) ci hanno insegnato essere molto ambigua e da dismettere. Qualcosa, sia pure lentamente, sta cambiando, come il seguente test può dimostrare. «Le banche non sono fatte per pagare stipendi ai loro impiegati o per chiudere il loro bilancio con un saldo utile; ma devono raggiungere questi giusti fini soltanto con il servire meglio il pubblico». Queste parole furono pronunciate da Luigi Einaudi nella Relazione del Governatore della Banca d’Italia per l’esercizio 1943 letta nell’aprile 1945. Se Luigi Einaudi avesse pronunciato queste parole nell’America di quattro anni fa sarebbe stato, probabilmente, internato al neurodeliri. Oggi rimarrebbe a piede libero, anche se sarebbe irriso a mezza bocca dai Summers, Geithner, Rubin e dai cantori e maggiordomi del supercapitalismo. Ma sarebbe difeso da Barack Obama e da Volcker, forse l’unico personaggio rispettabile del vecchio establishment finanziario americano”.

Istud sulla crisi

Sul sito della Fondazione Istud è accessibile un interessante materiale su “leggere e comprendere la crisi”.  Segnalo tra l’altro un intervento di Mario Unnia di cui riporto un brano sulla ricerca dei colpevoli:

In generale, è prevalso un comportamento ispirato alla ricerca del
colpevole, i governi e le banche, la finanza, per prime, indicate come unico
capro espiatorio. L’establishment industriale, manager in testa, ha preferito
scaricare tutte le responsabilità sulla finanza. Le professioni, a cominciare
dalla consulenza, si sono tirate fuori, scusandosi col dire di aver dato al
mercato ciò che il mercato chiedeva.
A questo proposito ricordo che in USA, proprio nei giorni caldi della crisi,
ci sono state due dichiarazioni emblematiche. Harvard ha celebrato i suoi
100 anni vantandosi di avere formato il 50% dei manager USA e del mondo
intero: eppure, a fronte di questo incisivo intervento sulla cultura
manageriale, non vi è stata nessuna ammissione di corresponsabilità. Per
contro, il dean del Mit dichiarava che esistevano delle precise responsabilità
delle università e delle business school, e prendeva impegno di rivedere a
fondo le filosofie di fare impresa che fino ad allora erano state insegnate.
Su Il Sole24Ore una sola voce s’è levata invitando l’accademia a fare
autocritica, subito è stata zittita dicendo che l’università e le business school
avevano dato il meglio di sé, e non erano responsabili per gli allievi
devianti. In sede Apco ho posto il problema di un’autocritica della
consulenza, ma è stato rifiutato. Idem in sede Aif.
La stampa ha sparato a zero sul mondo del credito, salvo dimenticare che nei
consigli delle banche e delle assicurazioni siedono imprenditori e
professionisti (il cosiddetto capitalismo di relazione), e che gli stessi siedono
nel consigli dei giornali, perché da noi non c’è l’editore puro.
Quanto al sindacato dei dirigenti, proprio nei giorni caldi s’è tenuto un
convegno di Federdirigenti lombardi: nessun cenno alle responsabilità, solo
la lamentazione per il taglio degli organici e la richiesta della revisione delle
pensioni, ritenute inadeguate. Nessuna traccia di autocritica naturalmente dai
sindacati.
Non sono in grado di indicare come usciremo dalla crisi. Mi sono limitato ad
indicare una chiave di lettura.