Ormai sono tutti contro la finanza creativa. Ecco montezemolo : «Attenzione, sarebbe sbagliato mettere l’industria contro la finanza, ma bisogna dire le cose come stanno: i mutamenti riguarderanno anzitutto il settore creditizio, dove l’ingordigia e la speculazione, soprattutto americana, hanno prodotto la distruzione di risorse che cittadini ed imprese gli avevano affidato. Speriamo si chiuda definitivamente la stagione della finanza creativa – nel pubblico e nel privato – e delle ricchezze costruite sulla speculazione».
E’ uscito il n° 4-5, 2008 di Risorse umane nella PA con un editoriale di Renato Ruffini “E io pago…” e una nuova uscita di Letture e visioni che commenta il film Il Divo di Paolo Sorrentino: RUnellaPA_n.4-5,2008 Ecco una versione abbreviata del commento
Anno zero ha dedicato una puntata al film: sono disponibili i video di alcuni interventi
I giornali hanno riportato che Tremonti, parlando ai giovani industriali a Capri, ha ribadito una cosa che sembra ovvia: «la finanza non è un fine ma un mezzo, la finanza trasferisce ma non produce ricchezza» tremonti ai giovani
In realtà Tremonti come mostra il video ha invitato i giovani industriali a riflettere in profondità partendo dalla ragioneria come vera e propria parabola che illustra la mutazione avvenuta nel capitalismo. Ecco un passaggio essenziale: “Questa tendenza parossistica e istantanea dal conto patrimoniale al conto economico riflette una profonda mutazione intervenuta nel capitalismo, all’origine nel vecchio mondo contava in partita doppia il conto patrimoniale ma anche il conto economico, contava il meccanicismo e l’automatismo dei valori espressi giorno per giorno dalla borsa ma contavano anche altre valutazioni che avevano un carattere fiduciario, organico, personale , non 100 anni fa, ma 10 anni fa contava il conto economico ma contava nell’economia conoscitiva e gnoseologica del bilancio anche una serie di categorie diverse, il prudente apprezzamento degli amministratori (…) Continua la lettura di La parabola di Tremonti→
L’intervento dello Stato torna a essere invocato quando serve marcegaglia
ma è difficile pensare che questo possa avvenire senza che si debba pagare un costo da parte delle classi dirigenti comunque coinvolte in questa situazione elites_in_pericolo
“From Higher Aims to Hired Hands:The Social Transformation of American Business Schools and the Unfulfilled Promise of Management as a Profession” è il titolo del libro di Rakesh Khurana che illustra come le business schools abbiano rinunciato all’ideale di fare del management una vera professione, accontentandosi di gestire dei prodotti, i master in business administration MBA, e di trattare gli studenti come consumatori: khurana
Charles Handy in questa intervista critica la ricerca di management che è spesso mera registrazione delle best practices, che però sono spesso past practices nel momento in cui le ricerche sono pubblicate. Ci vorrebbe nelle business schools più curiosità intellettuale, più sfida dei modi di agire consolidati, più posti dove i leader del business vengono ad ascoltare più che a parlare. handy_interview.pdf
La natura umana comprende sia la ricerca del proprio interesse che la preoccupazione per gli altri. La formazione al business si è troppo sbilanciata sul primo lato, indulgendo alle ambizioni di studenti motivati solo a massimizzare il proprio reddito, non a essere leader di grandi organizzazioni. Il mondo e il business chiedono di meglio.
E’ in edicola con L’impresa il n. 4/2008 di Hamlet: “messaggi forti e chiari a una classe dirigente in difficoltà” dice lo strillo sulla copertina della rivista di Il sole 24 ore. Ecco l’indice: hamlet-n.4-2008:indice
Si segnala il redazionale “I Borboni e formazione. La mala educazione dei Vicerè” che collega alcune recenti affermazioni del Ministro Brunetta con il romanzo di fine Ottocento di Federico De Roberto.
Carly Fiorina, già al vertice di HP in un periodo non fortunato, ha tenuto una serie di lezioni sulla leadership e il cambiamento organizzativo: fiorina:change
Ci spiega tra l’altro che la dinamica del cambiamento è fortemente influenzata dai sentimenti di paura: nelle organizzazioni non c’è nessuno che non tema qualcosa.
In questo articolo on line gabrielli solleva il tema del ruolo che i Direttori del Personale possono avere nell'”educare” i capi -a qualunque livello- a gestire in modo “sostenibile” le persone per sviluppare motivazione e benessere individuale e sociale. Un compito problematico, come lui stesso avverte, e che coinvolge in qualche modo l’assetto di governance delle aziende. C’è qualcuno nelle alte sfere aziendali che si preoccupa di aspetti “educativi” di questo tipo?