E’ stato presentato ieri a Milano in Assolombarda il libro Knowledge working. Lavoro, lavoratori, società della conoscenza, curato da Federico Butera e altri esponenti della Fondazione Irso. Si tratta di una importante ricerca che individua nei lavori e lavoratori della conoscenza i protagonisti del “più grande cantiere di cambiamento economico e sociale dell’Occidente”: knowledge working
Quasi contemporaneamente però un articolo di Ilvo Diamanti su La Repubblica (21 settembre) coglie il malessere delle professioni in una serie di episodi che affiorano in questi mesi, dalla crisi di Alitalia, alle difficoltà di scuola e università, alle polemiche sulla sanità, sui dipendenti pubblici, sui privilegi delle professioni autonome : il comune denominatore starebbe nella sfiducia o addirittura nel risentimento che la società sembra esprimere verso professioni che godevano un tempo di buona reputazione: “… oggi le professioni servono per lo più a catalogare le persone in modo spregiativo. A dividere la società, erigendo barriere di risentimento e indignazione”.
Alla importanza oggettiva dei knowledge workers sembra così corrispondere un sentimento (soggettivo) meno positivo. E’ una contraddizione che si dovrà in qualche modo affrontare.
Vedendo gli analisti finanziari di lehman-brothers che escono dal grattacielo con gli scatoloni viene da richiamare la situazione di disagio globale che Guido Rossi (2008) ha ricondotto ad uno stato del mercato finanziario del nuovo capitalismo “interamente nelle mani degli speculatori, mentre chi produce è costretto a recitare un ruolo da comparsa”. Anche l’innovazione e la concorrenza sfrenate producono danni, soprattutto quando perdono riferimenti alla realtà. Quel certo “ritardo” italiano rispetto ai ritmi della modernizzazione, che molti economisti lamentano, può alla fine rivelarsi salutare.
giovanni_costa evidenzia in questo articolo (“l’effetto Brunetta è nato ad Harvard”) come il forte calo dell’assenteismo degli statali riproponga qualcosa di noto e cioè l’ormai storico “effetto Hawthorne” e non ancora un “effetto Brunetta”. La partita si gioca sulla lunga distanza.
L’intervento di DeRita-sulla-crisi-della-scuola è più profondo dei soliti editoriali ed evidenzia come si mostrano “ogni giorno più irrilevanti i nobili richiami degli opinionisti e dei politici, le tabelle statistiche e i rapporti di enti nazionali ed internazionali, le raffiche delle tante proposte di riforma, le pressioni sindacali e le lotte del precariato”. Ricominciare dal basso e dalle fondamenta del sistema è una formula suggestiva ma che occorre concretizzare anche individuando i possibili agenti del cambiamento.
In questa intervista ichak adizes sostiene che la sfida per l’Europa è oggi quella di alimentare la diversità che è nella sua storia e di sviluppare risorse umane con qualità imprenditoriali. Senza una classe imprenditoriale in crescita il sistema invecchia, aumenta il tasso di burocrazia che soffoca l’imprenditorialità e innesca un circolo vizioso. Le business schools stanno fallendo perchè non insegnano a uscire dagli schemi e a prendersi rischi. Non stiamo sviluppando imprenditori se non per i mercati finanziari, con investment bankers, fund manager e consulenti. Ma queste professioni non costruiscono business, agiscono come in staff. Non incoraggiamo le persone a prendersi rischi ma insegnamo loro a valutarli e controllarli: interview_adizes
Al Congresso annuale di The European Higher Education Society (EAIR) tenuto a Copenaghen anche quest’anno abbiamo presentato un paper, dedicato questa volta allo studio di un caso di change management, valutabile credo in positivo: il Politecnico di Torino: Minelli-Rebora-Turri, Change-management-in-universities. Si riporta lo schema delle conclusioni, sugli insegnamenti da trarre da un caso di imprenditorialità accademica in tema di gestione del cambiamento: sintesi
Il Congresso annuale di The European Higher Education Society (EAIR) si è tenuto a Copenaghen dal 24 al 27 agosto sul tema : Polishing the silver: are we really improving higher education? programma
Il seme del dubbio instillato dal titolo del congresso ha prodotto i suoi effetti nel senso che il dilemma non è stato risolto. A un certo punto i partecipanti si sono visti prospettare tre scenari di valutazione delle esperienze di miglioramento delle università in Europa nel segno della gestione manageriale, dei sistemi di qualità, dei ranking di eccellenza accademica: scenario scettico, scenario positivo, scenario middle way. Le valutazioni raccolte si sono divise tra scenario scettico e middle way, quasi nessuno vede positivo!
Carly Fiorina, già al vertice di HP in un periodo non fortunato, ha tenuto una serie di lezioni sulla leadership e il cambiamento organizzativo: fiorina:change
Ci spiega tra l’altro che la dinamica del cambiamento è fortemente influenzata dai sentimenti di paura: nelle organizzazioni non c’è nessuno che non tema qualcosa.
The European Higher Education Society (EAIR) tiene a Copenaghen il proprio congresso annuale dedicato al tema Polishing the silver: are we really improving higher education? programma
Si tratta di un’organizzazione internazionale molto seria e solida. Come tale sa mettere in discussione quanto avviene nel suo mondo, ma in modo critico e riflessivo non come fanno da noi i soliti e superficiali dispensatori di certezze.